domenica 7 ottobre 2012

AI SICILIANI NON FATELO SAPERE


Pubblicato sul giornale "La Libertà" (Testata milanese) il 1 Marzo 1949



Eccelso Terrone
...

...vi esortiamo a rendere noto ai vostri corregionari, la nostra intimazione a non parlare MAI PIU` di Autonomia.

La Sicilia e` una nostra colonia da sfruttare e tale deve rimanere fino alla consumazione dei secoli.

Sin dal 133 Avanti Cristo, voi cafoni siciliani ad opera dei nostri Avi, i Romani, siete stati prostrati sotto la schiavitu` di Roma, e per diritto atavico e di conquista siete rimasti sotto il Dominio Italiano!

Anche geograficamente la natura ha posto la vostra lurida e schifosa isola, sotto il tallone italico. Il nostro diritto di dominio su di voi e` sancito da secoli. Il nostro Garibaldi vi conquisto`piegandovi con la frusta al volere d’Italia.

Razza putrida di vigliacchi, di umilissima e strisciante servitu`, osate levare gli occhi sui vostri padroni, e considerarvi alla pari di Essi?

Volete l’autonomia? L’Indipendenza? Provatevi ad ottenerla!!!

Un esigua schiera di volontari di oltre linea gotica ripetera` il gesto di Garibaldi, non piu` col titolo pietoso, per quanto falso, di liberazione, ma con quello reale, vero, di cruda conquista. Vi piegheremo con la forza bruta, col nostro valore degno dei nostri padri, i Romani, e cosi` vi toglieremo ogni diritto, presente e futuro, di parlare di semplice autonomia!

Servendosi di voi quale carnume fetido per tutte le Sue guerre l’Italia vi ha troppo onorato. Seguiteremo ad onorarvi fino alla totale estinzione della vostra razza.

Da Noi non aspettatevi altro che frusta, fame e forca e cosi` sempre! Diffidiamo formalmente i vostri corregionari a venire a infettare, col loro alito fetente di cipolla l’aria delle nostre contrade, ove voi miserabili accattoni, ci disgustate col vostro sudiciume, col vostro piatire, col vostro elemosinare, e le vostre donne ripugnano con la loro bassa prostituzione.

Nella speranza che si voglia usare la bomba atomica sul vostro miserabile atollo, e che scompaia con esso l’abietta razza dei terroni, vi onoriamo di un saluto.

Viva l’Italia

Morte alla Sicilia ed ai siciliani!

Comitato Epurazione Alta Italia


(tratto da ” Ai Siciliani non fatelo sapere” di Giuseppe Sciortino Giuliano)

martedì 25 settembre 2012

Mostra “Sicilia 1812"







“Sicilia 1812. Laboratorio Costituzionale. La società, la cultura, le arti” (visitabile fino al 31 ottobre prossimo a Palazzo Reale-Palermo)

Palermo - Archivio di Stato, Costituzione Siciliana del 1812

Se nel 1810 pochi capivano che volesse dire Costituzione, da quell'epoca in poi non vi ha ciabattino che non conosca i diritti suoi e che non senta la violenza di esserne spogliato" (Nicolò Palmeri)

 
 
In un mondo sempre più globalizzato, diventa necessario incrementare le relazioni culturali ed economiche creando stabili collegamenti, riannodando fili, nel tempo abbandonati, con altre realtà e civiltà.
Ripercorrere la storia della Sicilia, soprattutto per le nuove generazioni, significa riscoprire ricchezza e molteplicità di culture che in essa si sono incontrate.
Una tale memoria può e deve costituire oggi il punto di partenza imprescindibile per una rinnovata capacità progettuale che metta a frutto il ricchissimo patrimonio culturale e naturale dell’Isola, insieme alle sue straordinarie risorse umane.
 
Elia Interguglielmi, Apertura del Parlamento nel Palazzo Reale
 
 
 
Dopo aver celebrato i 150 anni dell’unificazione nazionale ed esaltato il valore dell’Italia una e indivisibile, ricordare, in un ideale continuum, i duecento anni della Costituzione siciliana del 1812, contribuisce a mettere in luce lo spessore di un’identità regionale che ha saputo fornire un apporto significativo in termini di progetti, uomini e idee alla costruzione dell’ordinamento unitario e al disegno della “Repubblica delle autonomie” tracciato dalla Carta costituzionale del 1948.
 
Francesco Padovano (Palermo 1842), La notte del 19 luglio 1812
 

Le ricorrenze celebrative possono essere riempite di contenuti d’occasione o colme di retorica, ma possono anche, e più proficuamente, rappresentare opportune occasioni per una valutazione critica di eventi che, pur appartenendo al passato, hanno prodotto conseguenze sensibili ancora nel nostro presente.

Risulta pertanto significativo far seguire alle celebrazioni di un evento “nazionale” di indubbio rilievo, le celebrazioni di un evento che geograficamente è “regionale” ma che culturalmente costituisce un formidabile esempio di diffusione di principi costituzionali che dall’Inghilterra finiscono per contagiare la Sicilia ed il Mediterraneo.

Così declinate, le vicende della nostra terra possono forse essere spiegate con un’angolazione diversa da quella di una Sicilia ripiegata su se stessa, che tende a spiegare ciò che in essa accade secondo chiavi di lettura tutte interne. Al contrario la Costituzione del 1812 lega le sorti della nostra terra alle aspirazioni di libertà e di autogoverno che caratterizzeranno le vicende di molti popoli europei.

Parallelamente a quanto accade in altre parti d’Europa – ed in particolare con la coeva Costituzione di Cadice - il 1812 segna, a Palermo, il passaggio dall’antica costituzione storica ad un impianto che risente del costituzionalismo moderno.

Il carattere del testo costituzionale non concesso da potere regio ma approvato da un parlamento in sede costituente, l’abolizione dei privilegi feudali, l’affermazione dei diritti dei cittadini e la libertà di stampa, la creazione di un moderno parlamento bicamerale e l’indipendenza dal Regno di Napoli danno la misura del fermento che coinvolge l’Isola.

Quell’ “indipendenza”, ancora una volta in funzione antinapoletana, sarebbe stata ribadita dallo Statuto del Regno di Sicilia redatto dal parlamento del 1848. Più tardi, a quel sentimento veniva informato il progetto elaborato, a Palermo, dal Consiglio Straordinario di Stato del 1860, in vista di un assetto federale auspicato per l’Italia unita. Tale idea, intesa quale riconoscimento di una peculiarità dalle radici profonde, avrebbe trovato risposte adeguate con lo Statuto speciale di autonomia del 1946 e con la Costituzione repubblicana del 1948.
 
 

 

 
 
 
 
 
 
 
 

giovedì 5 luglio 2012

TRATTAMENTO FATTO ALLA SICILIA IN OTTANTA ANNI DI UNITÀ ITALIANA

di Antonio Canepa

da “La Sicilia ai Siciliani!” (1944, firmato con lo pseudonimo di “Mario Turri”)


La Sicilia non si era mossa, nel 1860. O, se si mosse, dove si mosse, non fu certo nel senso unitario voluto dai piemontesi. Fu per proclamare una Sicilia indipendente, repubblicana, nella quale la povera gente potesse vivere in pace senza essere sfruttata da nessuno.
Ma questi movimenti non potevano piacere. E così, prima ancora che terminasse il 1860, Bixio, mandato da Garibaldi, dovette correre a Bronte e in molti altri paesi, con truppe non siciliane, per domare la vera, autentica rivoluzione siciliana che incominciava.
A Bronte fece fucilare cinque persone. Altrove, di più. Impose taglie e multe alla popolazione, che cercò di atterrire in tutti i modi. “Missione maledetta (confessò più tardi lo stesso Bixio) alla quale un uomo della mia natura non dovrebbe mai essere mandato!”.
Poi gli italiani scesero in Sicilia. Luogotenenti, Commissari civili, stati d’assedio e altre misure eccezionali imperversarono in Sicilia a partire dall’unificazione.
Il primo stato d’assedio fu proclamato in Sicilia nel 1862; ed esso, come disse Crispi, lasciò terribili tracce.
Nell’anno seguente, si ebbe di fatto il secondo stato d’assedio con la missione del generale Govone il quale apertamente violò le leggi dello Stato.
Sotto il generale Govone, per combattere i renitenti alla leva, i Comuni siciliani venivano cinti da cordoni militari o presi addirittura d’assalto; senza mandato di cattura venivano arrestati sindaci e consiglieri comunali; venivano presi ostaggi, comprese le donne incinte, una delle quali (Benedetta Rini, di Alcamo), quasi al termine della gravidanza, morì in carcere dopo quattro giorni di convulsioni. Fu persino applicata la pena dell’acqua!
E quanti innocenti furono martoriati! Un disgraziato operaio, Antonio Cappello, sordomuto dalla nascita, venne sottoposto alla tortura nell’Ospedale Militare di Palermo, come se fingesse d’esser muto e sordo per sottrarsi al servizio militare: sul suo cadavere si poterono contare 154 bruciature fatte col ferro rovente!
Tutti questi sono fatti. Fatti documentati. Basta sfogliare il libro di Zingali: “ Liberalismo e fascismo nel Mezzogiorno d’Italia”, volume primo, da pagina 232 in poi: ci troverete questo ed altro! E non è un separatista che scrive, badate, ma un fascista il quale è stato persino segretario federale!
Nel 1866 la pazienza finì. Il popolo di Palermo si ribellò come un solo uomo.
“Una masnada di ladroni ha governato per sei dolorosissimi anni la patria nostra. Una masnada di uomini feroci l’ha insanguinata”: così incominciava il proclama rivoluzionario del 1866.
Nella città e nella provincia di Palermo, la rivoluzione assunse, dal 16 al 22 settembre, proporzioni tali, da costringere il governo ad inviarvi sollecitamente, con la qualità di Regio Commissario, il generale Raffaele Cadorna, alla testa di due divisioni di fanteria, un reggimento di cavalleria ed una brigata di artiglieria.
E vinsero loro, i ladri e gli assassini del popolo. Fucilarono senza processo migliaia di cittadini. Mentre invece gli insorti siciliani, che avevano preso prigionieri duemila soldati, non avevano ad essi toccato un capello.
“Repressa la rivolta e ristabilito l’ordine, le cose continuarono come prima. Non una legge fu votata, non un provvedimento fu preso per portare qualche rimedio ai mali esistenti, che andavano continuamente aggravandosi”. Sapete chi scrive queste parole? Non un separatista; ma dei bravi fascisti, unitari, Libertini e Paladino, a pagina 752 della loro “ Storia di Sicilia” pubblicata appena dieci anni fa.
Nel 1875 le cose continuavano a peggiorare. Il governo italiano propose misure eccezionali di polizia contro la Sicilia. I deputati siciliani insorsero. Ascoltate quel che disse Paolo Paternostro:
“Voi parlate delle condizioni eccezionali in cui si trova la Sicilia, del malcontento che vi regna. Ma, domando io, voi che cosa avete fatto per la Sicilia? Cosa ha fatto il governo? Nulla. O tutto il contrario di quel che doveva.
Se voi date un’occhiata a tutti i servizi della Sicilia, a tutte le amministrazioni, voi troverete che dappertutto, e sempre, il governo si è condotto male.
Sceglierò qualche esempio.
Sapete voi come è stata trattata la magistratura in Sicilia?
Quando ci sono stati i pretori che non hanno voluto secondare gli ordini dell’autorità politica, sono stati minacciati, talvolta traslocati.
E dei nostri impiegati (altro esempio) che cosa ne avete fatto? Ve lo dirò in due parole.
Quando voi spedite in Sicilia qualcuno, voi fate supporre che lo mandate per castigo, come se lo mandate in esilio, e gli dite: – Andate laggiù, andate in Sicilia; poi, se vi comporterete bene, se sarete zelante, allora provvederemo.
Questi signori vanno laggiù coll’idea di trovarsi in mezzo a gente che non valga la pena di dover rispettare come tutto il resto d’Italia; e fanno dello zelo eccessivo; e diventano spesso agenti provocatori; ed accrescono il malcontento.
E dei nostri impiegati di laggiù, degli impiegati siciliani, che cosa ne avete fatto? dei piccoli impiegati, soprattutto?
Perché a un vostro prefetto è saltato in capo di fare un rapporto più o meno insolente e offensivo per la Sicilia, voi credete sul serio che molti disordini si debbano alla così detta mafia, che si sarebbe infiltrata tra gli impiegati, e ... botte da orbo, traslocazioni, sbalzando gente con uno stipendio di fame in lontani paesi, senza neanche indennità di viaggio, spostando e rovinando tutti i loro interessi.
Che ne avete fatto delle nostre ferrovie? E delle nostre strade obbligatorie? E dei beni dei Gesuiti e dei Liguorini, che erano destinati alla pubblica istruzione?
Nelle nostre amministrazioni non c’è che il disordine, il caos. E le popolazioni si abituano a pensare e a dire: – Ma questo non è un governo; le imposte se le fanno pagare; il fiscalismo ci perseguita sotto tutte le forme, ci assedia e ci tortura; ma quando si tratta di amministrare, amministrazione non ce n’è.

Che cosa si fa? Si ricorre a mezzi eccezionali di polizia, si ricorre al governo militare, invece di migliorare economicamente il paese!”.
Ecco quel che gridò in Parlamento il deputato siciliano Paolo Paternostro. Le sue parole sembrano scritte oggi. E tutti noi siciliani, oggi, potremmo gridarle al governo fascista. Ma del governo fascista parleremo tra poco.
Dopo Paternostro parlò, nello stesso senso, Colonna di Cesarò. Poi Diego Tajani. Quest’uomo, patriota, esule e volontario delle guerre d’indipendenza, era stato dopo il 1860 Procuratore Generale alla Corte d’Appello di Palermo. E poiché era un uomo onesto e senza paura, aveva sentito il dovere di spiccare mandato di cattura contro il questore di Palermo, e di mettere sotto processo il prefetto di Palermo, colpevoli ambedue di abominevoli abusi. Il governo, naturalmente, si era messo contro di lui. Egli aveva dato subito le dimissioni chiudendosi in uno sdegnoso silenzio.
Eletto deputato, fu più tardi per due volte Ministro di Grazia e Giustizia. Orbene, quando vide che la Sicilia veniva nuovamente provocata e calunniata, Diego Tajani non seppe più tacere.
Per due giorni, innanzi al Parlamento esterrefatto, espose l’una dopo l’altra tutte le ingiustizie, le canagliate, le infamie di cui il governo italiano si era macchiato: stupenda requisitoria che tutti i siciliani dovrebbero imparare a memoria!
Concluse con questo avvertimento solenne: Ricordatevi che la Sicilia è un’isola, e le isole si considerano come qualcosa di distaccato, di autonomo!
Parole sprecate! La legge contro la Sicilia fu approvata. E nuove violenze si abbatterono sulla nostra disgraziata patria.
La Sicilia è stata sempre considerata come terra nemica, terra conquistata, da conservare con la forza. Per questo motivo, nel 1875, si tenevano in Sicilia ventitré battaglioni di fanteria e bersaglieri; due squadroni di cavalleria; quattro plotoni di bersaglieri montati; 3.130 carabinieri e numerose altre forze sussidiarie, fra le quali principalmente guardie di pubblica sicurezza e guardie a cavallo!
Si giunse così ai Fasci siciliani dei lavoratori, fondati e diretti da Giuseppe De Felice. Che cosa voleva la Sicilia nel 1893 – 94? Quel che ha sempre voluto: giustizia e libertà.
Il governo presieduto da Giolitti, riversò nell’isola una moltitudine di soldati, i quali non fecero che accrescere il malumore nel popolo.
L’inevitabile accadde: sul principio del 1893, uno scontro ebbe luogo a Caltavuturo tra la folla e la truppa. La truppa osò sparare sui pacifici paesani, un gran numero dei quali rimasero uccisi.
Promise Giolitti di far aprire un’inchiesta contro i militari che avevano fatto fuoco; ma non mantenne. Al contrario, durante l’intero anno, lasciò che la polizia e l’esercito si abbandonassero a tutti gli eccessi: nelle giornate di dicembre, che furono particolarmente accanite, più di 200 siciliani vennero uccisi, mentre la forza pubblica ebbe un solo morto.
Vedendosi assassinati, i siciliani insorsero dappertutto.
Ruppero fili telegrafici; incendiarono municipi, preture, esattorie, uffici del registro e del catasto, agenzie delle imposte, archivi notarili, casotti daziari; liberarono i carcerati; tentarono di disarmare carabinieri e soldati.
A questo punto, il Re concepì la mostruosa idea di affidare a un siciliano la repressione del movimento siciliano. Crispi accettò la parte di Caino.
Proclamò lo stato d’assedio; e nominò commissario straordinario con pieni poteri il generale Morra Di Lavriano, che pochi giorni prima aveva mandato a Palermo come prefetto.
Venne richiamata alle armi la classe del 1869; e più di 40.000 uomini vennero sbarcati in Sicilia. I capi del movimento furono gettati in carcere: e primo fra tutti De Felice che, essendo deputato, non poteva neppure essere arrestato senza l’autorizzazione della Camera. I Fasci siciliani dei lavoratori (che erano ormai 166 con 300.000 associati) furono sciolti e le loro sedi occupate militarmente. Proibiti gli assembramenti e le riunioni. Istituita la censura.
Per più di sette mesi la Sicilia fu sottoposta alla legge marziale. Gli arresti si facevano senza bisogno di prove. E le condanne venivano appioppate, il più delle volte, senza che gli accusati potessero neppure difendersi.
Le accuse, del tutto immaginarie. “Avere cooperato alla emancipazione materiale e morale dei lavoratori” era un reato severamente represso!
Nel giugno 1894, più di 1800 siciliani erano stati già condannati al domicilio coatto. Molti, a pene più gravi. De Felice a 18 anni di carcere, Bosco, Barbato e Verro a 12 anni.
Alla Camera dei Deputati, Felice Cavallotti dichiarò che il governo aveva violato le leggi e lo stesso Statuto. Poi prese la parola Matteo Renato Imbriani:
“Voi (disse rivolto a Crispi) avete stracciato ad una ad una tutte le pagine dello Statuto. Avete fatto scempio di tutte le nostre libertà…
Ci sono molti che dicono: – I Borboni bombardavano. – Ma bombardavano quando una città era in piena ribellione. Ma i Borboni non hanno mai fatto tirare sopra folle inermi ed affamate…”.
La Sicilia elesse deputati De Felice, Bosco e Barbato, che languivano in carcere. L’elezione, si capisce, venne annullata.
Così continuarono le cose, male sempre, fino alla guerra. Dal 1915 al 1918 anche e soprattutto in Sicilia i contadini e gli artigiani, i professionisti e gli studenti vennero strappati dalle loro case e mandati al macello.
Ma quando la guerra finì, chiedemmo la resa dei conti. E l’avremmo ottenuta, per Dio! se questo miserabile governo fascista non avesse rinnovato un sistema di poliziesca tirannide sopprimendo le ultime libertà e raddoppiando le nostre catene.

martedì 24 gennaio 2012

Movimento Forconi espelle Morsello e continua la protesta


Per il governo la situazione è intollerabile e secondo confcommercio : spesa a rischio per i prossimi giorni

“Io e Mariano Ferro fondatori del movimento prendiamo le distanze da Morsello e Forza Nuova”, parole di Giuseppe Scarlata.
Morsello











“ Il signor Morsello può ritenersi responsabile quanto vuole ma una cosa è certa noi con la famiglia Morsello non vogliamo più avere a che fare! il movimento è stato creato da Mariano e Giuseppe” e l’affondo “le altre pagine di facebook sono state create dalla famiglia Morsello di conseguenza sono in mano a Forza Nuova! dunque questa è l’unica pagina ufficiale del movimento”.


Sempre nella pagina ufficiale di Facebook  del Movimento si legge : “Ferro ha anche replicato alle accuse mosse dal presidente di Confindustria, Ivan Lo Bello. ‘Se Lo Bello ritiene che all’interno del nostro movimento vi siano dei mafiosi, lo prego di recarsi in Procura e di fare nomi e cognomi’. Ferro ha anche riferito che da ora in poi i portavoce del movimento saranno lui e Giuseppe Scarlata”.


“Sospendiamo la protesta qui in Sicilia, sebbene i presidi continueranno e non escludiamo nuove forme di manifestazione sull’isola. ha detto Mariano Ferro, uno dei leader del movimento. “Non possiamo arrivare allo scontro con i siciliani – ha aggiunto- già provati da una situazione economica e sociale tanto difficile”.

Ma ci sono delle frange del movimento, in particolare nel mondo degli autotrasportatori, pronte a riattivare i blocchi stradali anche in Sicilia.